Il Salento! Proveremo a raccontarvi la magia di questa terra assolata dai colori intensi, il blu del mare, le serre selvagge battute dal vento, le masserie fortificate, i dolmen, i menhir, le specchie, il caldo abbraccio della pietra leccese scolpita nei tanti monumenti e chiese in stile barocco, le torri costiere, gli antri, le grotte che il fenomeno carsico ha scavato nelle viscere di questa terra.
Il Salento è nella sapiente arte di cucire e ricamare che donne dal sorriso enigmatico tramandano sedute appena fuori casa alla luce del sole o al tramonto davanti lu fucalire ( il camino) acceso, nell’ arte delle meravigliose terracotte e ceramiche di Cutrofiano, della sapiente lavorazione della carta pesta a Lecce e dei giunchi intrecciati a Gallipoli ed Acquarica del Capo, della pietra leccese a Cursi, e poi ancora l’arte di lavorare il legno, il ferro battuto, il rame, di conservare i sapori e gli odori che sanno d’oriente.

Tutto questo è il Salento, imbevuto di miti, leggende e personaggi di un mondo fiabesco. Ma non dimentichiamo i mestieri ormai scomparsi, il fabbro, “lu conza limbi” ed altri riproposti nel meraviglioso mondo salentino, ricostruito nel museo della civiltà contadina di Tuglie.
Fondamentale nell’economia del territorio erano l’industria manifatturiera del tabacco, quella enologica e quella olearia, che nel tempo si sono adeguate all’evolversi della tecnologia cambiando tradizioni secolari.
La storia della nostra terra è riproposta attraverso i ritrovamenti archeologici dei primi insediamenti preistorici nelle grotte Romanelli, che hanno dato il nome ad un’era geologica quella “Romanelliana” appunto, alla grotta dei cervi a Porto Badisco, mitico approdo di Enea, le grotte del Ciolo, quelle marine di Leuca, la grotta della Zinzulusa a Castro, la grotta delle Veneri a Parabita, così chiamata per il ritrovamento di due manufatti che rappresentano la prima forma d’arte dell’uomo primitivo, infine le grotte che si aprono nello stupendo scenario della baia di Uluzzo, a Porto Selvaggio: la grotta del Cavallo in cui sono state scoperte le più antiche testimonianze dell’uomo moderno in Europa, infatti già 45 mila anni fa ospitava i primi sapiens europei, come testimoniano i ritrovamenti che hanno segnato un’epoca geologica “l’era Uluzziana”.

Tantissime sono le peculiarità del Salento:

Il fenomeno carsico, per cui i corsi d’acqua che dovrebbero essere presenti in superficie, per la natura del terreno vanno in profondità fino ad incontrare la roccia impermeabile dando così origine a fenomeni carsici come le doline, grotte in cui caduta la volta si sono creati dei piccoli laghetti sul fondo, come la Palude del Capitano nei pressi di S. Isidoro o le cosiddette “Spunnulate” di Porto Cesareo. Le Gravine, profonde ferite inferte al terreno per il passaggio di antichi letti di fuimi come i canaloni del Rio a Tricase, quelli di Leuca, il Ciolo di Badisco. Le vore, grandi voragini, veri e propri inghiottiti naturali di acqua piovana, famose quelle di Barbarano, o la vora Colucci nelle campagne tra Nardò e Leverano dove, con un gran tuffo finisce il canale dell’Asso.
I ritrovamenti messapici di Alezio, Vaste, Rudiae, Cavallino, Roca, Vereto.
Del periodo romanico sono invece il porto adrianeo di S.Cataldo, l’anfiteatro greco ed il teatro romano a Lecce. Gli enigmatici dolmen, i menhir, le specchie, le laure cenobitiche, gli aggrottamenti della valle delle memorie e della Valle dell’Idro ad Otranto, il misterioso ipogeo di Torre Pinta, il monumento funebre delle centopietre a Patù, così chiamato perché costruito con cento blocchi di pietra che costituivano le mura dell’antica città messapica di Vereto. Pare che fosse dedicato al generale Gimignano che nel giorno di S. Giovanni, aveva combattuto i saraceni immolandosi per salvare le inermi popolazioni del luogo.
Successivamente, nel XVI secolo, si scoprirono affreschi ad altezza d’uomo raffiguranti figure di santi che il tempo è le intemperie hanno ormai quasi cancellato.
I massi della Vecchia, enormi massi posti nella campagna fra Minervino e Palmariggi, il ritrovamento di mitiche “acchiature”, termine con cui si indicano i tesori nascosti, le leggende di Ercole con il suo enorme piede impresso nella roccia, la vecchia moglie dell’orco Nanni.
Per quanto concerne l’architettura, simbolo del Salento sono costruzini antiche come i trulli, i furnieddhi, le pagliare, i casini, ed i casali bizantini ormai scomparsi. Si possono visitare i castelli di Gallipoli, Castro, Nardò, Copertino, Lecce, Otranto, Acaya, Corigliano d’Otranto e le tante torri costiere di avvistamento sullo Ionio e sull’Adriatico; le masserie fortificare, le neviere, le torri colombiane, gli apiari, e le chiese rupestri, luoghi in cui rivivere le storie che lui contraddistinto questi posti ricchi di fascino e storia.
Le chiese più importanti secondo lo stile che le contraddistingue, il barocco, sono il monumentale complesso di piazza Duomo, S. Matteo, S. Irene e la bellissima S. Croce con l’attiguo palazzo dei Celestini, a Lecce.
Sempre di fattura barocca a Galatone, la chiesa del Crocifisso, a Nardò piazza Salandra, a Gallipoli il Duomo.
Gotico-romaniche sino invece la chiesa di S. Caterina ed il chiostro di francescano a Galatina e S. Stefano a Soleto.
È bizantina invece la chiesa a croce greca ad Otranto, e sempre ad Otranto il monumentale mosaico pavimentale di frate Pantaleone nella Cattedrale, risalente al 1163, risulta essere il più vasto al mondo, una summa di cultura medievale.
Ed ancora, le cripte basiliane, e le ville di campagna con i bellissimi giardini che punteggiano diverse zone della nostra provincia.
Il Salento visto con gli occhi della credenza popolare e della magia nei racconti tramandati dai nostri avi comprende fenomeni religiosi e culti pagani come quelli legati al fanatismo o alle pratiche magiche, il più popolare è quello del tarantismo, è diventato ormai un must per chi viene in Salento è partecipare alla notte della Taranta, a Melpignano.
I sapori, gli odori di una cucina ricca di gusto, vi permetteranno di cogliere sensazioni che, al contatto con la civiltà contadina accenderanno i vostri sensi!
Un giro in barca alla scoperta delle grotte, delle calette, in un mare puliti e ricco di colori e la possibilità di godere una crociera gustando il pesce da voi pescato.
Il fantastico mondo sommerso dei mari salentini donerà un’esperienza indimenticabile per chi è alla ricerca di forti emozioni.
La contrapposizione fra rito greco e latino, nell’isola ellenofona della Grecìa Salentina, nove comuni dove si conserva l’idioma della lingua greca, le sue tradizioni, la cultura.
Le importanti terme di S. Cesarea con le sue acque sulfuree, e la riserva naturalistica WWF delle Cesine con specie migratorie protette ( anatre, falchi, cigni, cormorani, folaghe, aironi, garzette, cavalieri d’Italia, tarabusi) nei laghetti salmastri retrodunali dell’Adriatico con flora ormai scomparsa dal resto del Salento.
I laghetti degli Alimini e quello dell’Orte, sorto da qualche anno per l’abbandono di una cava di bauxite ad Otranto, i canali di Ugento, il laghetto del Capitano con le sue anguille, percorsi della natura nel letto di vecchi fiumi ormai scomparsi.
Imperdibile la visita alla monumentale quercia Vallonea di Tricase vecchia oltre settecento anni.
Le orchidee selvatiche e altre specie rarissime come la ophriys Renatafontae dedicata all’eroina salentina che ha speso la propria vita per la tutela del suo territoio, e il giaggiolo salentino “Iris Revoluta”, presente solo sullo scoglio ” moiuso” dell’isola dei conigli di Porto Cesareo, i millenari olivi delle campagne di Vernole, i relitti di vecchie quercete che coprivano con enormi foreste l’intera provincia.
Tutto questo e tanto altro è il Salento, la terra de lu sule, de lu mare e de lu ientu!

A cura di Viviana Matrangola

 

 

Salento o Messapia?

Tutto cominciò con un passaggio. Di consegne. La dea madre stanca per le continue insistenze dell’elemento maschile – così raccontano le cronache mitiche – alla fine cedette lo scettro. Non l’avesse mai fatto! Il giovane rampollo Zeus prese il possesso delle insegne di comando e la prima cosa che fece fu di cambiare il sesso ai nomi. Fu così che la Messapia divenne il Salento. Lì per lì sembrava una variazione di poco conto ma a lungo andare, con il senno di poi, le cose cominciarono a prendere un verso inusitato. Quel popolo da domatore di cavalli e agricoltore cominciò a cedere all’arte, alla musica soprattutto, e alla danza servendosi di strumenti a percussione – tamburelli li chiamano -, a corde, i violini e a fiato, le fisarmoniche. Si accordarono da singoli che erano e cominciò a fluire nell’aria un ritmo scatenante, tutti insieme, non si fermavano più. Le fanciulle con la veste bianca e il fazzoletto rosso scesero sulla strada e cominciarono a roteare voluttuose. I giovanotti con il sorriso di sufficienza le guardavano con scherno aspettandosi da un momento all’altro che si ritirassero. Ma quando si resero conto che il ritmo era diventato incomprimibile e soprattutto insidioso, si sentirono pizzicare a ‘li cujuni’, come dice la canzone, e si gettarono nella mischia. Circuivano le ragazze che sgattaiolavano, non si facevano sor/prendere mentre loro ardevano di desiderio. La magia si era infilata anche ‘a menzu ll’anche’ delle caruse. Tutta la notte ballarono cadenzando le loro avances. Come andò a finire ve lo lascio immaginare… Esiste un’anima salentina? – si chiedeva Donato Valli, rettore dell’Università del Salento, tricasino di origine, scomparso di recente, sul sagrato della chiesa barocca di Poggiardo. Lui a parlare di poesia, dei nostri poeti disconosciuti, Vittorio Bodini, Girolamo Comi, Antonio Verri, ecc. e accanto a lui un musicante con strumenti della tradizione lo accompagnava in questo racconto della nostra storia e a un certo punto si fermò su Otranto. Incespicò, si volle fermare e lasciare ai virtuosismi della musica la continuazione del racconto. Donato Valli si emozionò. Pianse. Erano troppo vicini i ricordi, per quanto fossero passati più di 500 anni. Si asciugò le lacrime e al termie del canto attaccò. Era il 1480. Da quel fatto partì, secondo lui, con un gesto di resistenza e di fede, la consapevolezza di chi eravamo noi, riconoscendo appunto la nostra anima. Primaldo rimase in piedi decapitato e resistette fino all’ultimo uomo che cadde per non aver voluto barattare la nostra religione con quella islamica. Non avevano voluto salvare la vita in cambio del passo. Ecco l’orgoglio salentino, ripreso nel bellissimo romanzo di Maria Corti ‘L’Ora di tutti’, una storia d’amore fra la bella Idrusa e il capitan Zurlo della guarnigione spagnola, a cui fa da cornice la macro storia della presa di Otranto da parte dei turchi. ‘Quel mattino era un venerdì, il 28 luglio dell’anno 1480… Era fresca l’aria e giungeva bagnata dal mare. Faceva balletti nei cespugli di malvarosa e di finocchio, benché fosse il mese di luglio… Ricordo benissimo: stavo giusto per chinarmi sulla fiancata del porto a tirare le lenze e d’un tratto vidi la cosa. Mi stavo chinando; le barche legate alla fiancata, alcune tinte di fresco, altre scolorite, battevano contro i pietroni per il mare grosso. Galeoni di mercanzia non potevano essere, chiara fu subito la forma delle vele e a poco a poco, in vetta ai cavalloni, la mezzaluna stesa degli scafi: erano galee turche, nel mezzo del canale d’Otranto…’ Quello che accadde dopo è risaputo. Se andate ad Otranto, la notte fra il 28 e il 29 luglio e porgete l’orecchio al mare sentirete ancora lo sciabordio del mare sul legni scavati dai pini del Pelio. Suggestioni, direte voi! Ogni volta che torno in Salento, la prima cosa che faccio è mettermi in ascolto e dilato le narici. Il mare con le sue onde racconta storie di uomini e di donne che gli hanno confidato i loro segreti. Un flusso dolce e drammatico accompagna gli amori di giovani che hanno trovato ostacolo nelle convenzioni sociali, come a S. Maria di Leuca, de finibus terrae, dove la sirena Leucasia e il pastore Melisso languono ancora d’amore. Oppure mi metto a odorare il vento zefiro che giunge dai campi odorosi di fiori e degli ulivi, che combattono una guerra contro i batteri e le follie degli uomini. ‘Tanti mari, porti, e il suo grembo aperto da ogni lato al commercio dei popoli e lei stessa che, come per aiutare gli uomini, si slancia ardentemente verso i mari!’ così Plinio, che ci ha descritto nella Naturalis Historia. Una terra che sa di antico e che aspira ad un futuro di pace e di progresso fra i popoli.

A cura di Paolo Rausa